"Si avvicinava la data tanto attesa. 21 dicembre 2012. corrispondeva alla fine di uno dei cicli del calendario maya e in quel preciso giorno si attendeva che la Terra, il Sole ed il centro della via Lattea si sarebbero allineati perfettamente.
Si parlava di catastrofi naturali, maremoti, fine del mondo ma Max, Alexia e Robin sapevano che nulla di tutto ciò sarebbe accaduto.
Loro sapevano della leggenda dei cavalieri dalle teste spinose. Si diceva che Max fosse uno dei discendenti della dinastia del grande Maximilian, il sovrano che era riuscito a sconfiggere i cavalieri quando, diversi anni prima, la grande pietra che nascondeva il segreto della loro immortalità era stata Da lui, ritrovata.
Poi la leggenda vuole che la pietra fosse stata nascosta e ben custodita nel tempio di Eufiride per altri 2000 anni. Fino a quel 21 dicembre 2012 in cui, infatti, il singolare allineamento degli astri avrebbe ridato vita ai cavalieri e , questi, si sarebbero nuovamente impossessati della pietra dell'immortalità. I cavalieri si sarebbero inizialmente manifestati solo ai nuovi eletti. La pietra sarebbe stata rubata.
Tutto ciò sarebbe avvenuto nel luogo in cui , una volta era stato edificato il tempio di Eufiride e sul quale, adesso, sorgeva il grande museo del popolo maya.
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Amici...questo mi è venuto in mente.... Questa è la bozza del nostro nuovo racconto.
Vi ho dato qualche spunto per iniziare una nuova avventura ???????.......voglio CHE SIA L'AVVENTURA CHE VOI VIVRETE esclusivamente insieme a ME!!!!!!!!!!!!
Vi aspetto e aspetto che dalle vostre idee si sviluppi una nuova storia straordinaria.
MI PIACEEEE!!!!!!!! ;-)
SCRIVETE NEI COMMENTI LA PRIMA SCENA....COME IN UN FILM!!!!!
C'era una volta una donnetta vecchia, vecchissima, che viveva col suo branco di oche, in una radura fra i monti e là aveva una casetta. La radura era circondata da un gran bosco, ogni mattina la vecchia prendeva le stampelle e arrancava nel bosco. E la vecchia donna era molto occupata, molto di più di quanto competesse alla sua età: faceva erba per le sue oche, per sé coglieva frutta selvatica quella che si trovava a portata di mano, e portava a casa tutto sulla schiena. Si poteva pensare che quel gran peso potesse schiacciarla al suolo, invece lo portava a casa senza gran fatica. Se incontrava qualcuno lo salutava con molta gentilezza: "Buon giorno, compaesano, oggi il tempo è bello! Già, certo vi stupirete che mi tiri dietro quest'erba, ma ciascuno ha da prendersi il suo peso sulle spalle."
Ma la gente non la incontrava volentieri e preferiva allungar la strada, se un padre le passava accanto con il suo bambino, subito gli sussurrava: "Guardati da quella vecchia, è furba come il diavolo, è una strega." Una mattina veniva attraverso il bosco un bel giovane! Il sole splendeva alto, gli uccelli cantavano e fra gli alberi spirava una brezza fresca, ed egli era contento e felice. Non aveva ancora incontrato nessuno, quando d'un tratto scorse la vecchia strega inginocchiata che tagliava l'erba con la roncola. In un telo ne aveva già messo un bel pò, e lì accanto c'erano due cesti pieni di pere e di mele selvatiche. "Ma nonnina," disse egli, "come fai a portar via tutta questa roba?" - "Debbo portarla, caro signore," rispose lei, "i figli dei ricchi non ne hanno bisogno. Ma presso i contadini si dice:
Non ti guardare attorno rimani gobbo tutto il giorno.
"Volete aiutarmi?," disse quando egli le si fermò accanto, "Voi avete la schiena bella dritta e le gambe giovani, per voi sarà facile. Poi la mia casa non è lontana: sta in una radura, là dietro quel monte. In due salti ci siete." Il giovane ebbe pietà della vecchia: "Veramente mio padre non è contadino," rispose, "è un conte e molto ricco, ma perché possiate vedere che non sono solo i contadini che sanno portar pesi, prenderò il vostro fastello." - "Se volete provare," disse la vecchia, "mi farà di certo piacere! Certo c'è da camminare per un'ora, ma che vi importa! E dovete portarmi anche le mele e le pere." Il giovane conte si insospettì sentendo parlare di un'ora di cammino, ma la vecchia non lo lasciò più andare, gli cacciò il fieno sulla schiena e al braccio i due canestri. "Vedete, sono leggeri come la piuma," disse. "No, non sono per niente leggeri," rispose il conte con una smorfia di dolore, "il fascio d'erba pesa come se fosse di pietra, e le mele e le pere hanno un peso tale che paiono di piombo, quasi mi manca il fiato." Aveva voglia di piantar lì tutto, ma la vecchia non gli dava pace. "Guarda un pò," disse con voce beffarda, "il giovanotto non vuole portare quello che una vecchia come me si è tirata dietro tante volte. A dir belle parole son pronti tutti, ma se si fa sul serio se la vogliono svignare. "Cosa aspetta," proseguì, "dai si muova. Quel fagotto non glielo toglie più nessuno." Fino a che il giovane camminava sul piano, poteva ancora resistere, ma quando giunsero al monte e dovettero salire, e i sassi rotolavano sotto i piedi come se fossero vivi, allora non ce la fece più. Gocce di sudore gli bagnavano la fronte e gli scivolavano giù per la schiena, ora gelide ora cocenti. "Nonnina," disse, "non ce la faccio più debbo riposarmi un pò!" - "Niente affatto," rispose la vecchia, "quando saremo arrivati potrete riposarvi, ma ora si va avanti. Chissà che non vi faccia bene." - "Vecchia, sei veramente insolente," disse il giovane, e voleva gettare a terra il fardello, ma era tutto inutile, gli stava attaccato alla schiena come se l'erba avesse messo radici! Si girò e si scosse qua e là ma non riusciva a liberarsi. La vecchia rideva e saltava con la sua gruccia, tutta contenta. "Non arrabbiatevi, caro signore, diventate rosso in faccia come un tacchino," disse, "portate il fardello con pazienza e quando saremo a casa vi darò una buona mancia."
E lui cosa poteva fare? Dovette rassegnarsi al suo destino e trascinarsi con pazienza dietro alla vecchia. Questa pareva farsi sempre più contenta e giuliva e il carico sempre più pesante. D'un tratto ella fece un balzo, saltò sul fardello, vi ci si accomodò bene e, secca e magra com'era pesava più d'una bella contadinotta. Al giovane tremavano le ginocchia, ma se non proseguiva, la vecchia lo picchiava sulle gambe con una verga o con delle ortiche. Sempre lamentandosi, egli salì il monte e, alla fine, giunse alla casa della vecchia, proprio quando stava per stramazzare al suolo. Quando le oche videro la vecchia, alzarono le ali. allungarono il collo e le corsero incontro schiamazzando "qua qua." Dietro al branco, con una verga in mano, veniva una vecchia donna, grande e grossa e brutta come la notte. "Signora madre," disse questa alla vecchia "vi è capitato qualche cosa, siete stata via tanto!" - "Tranquillizzati, figlia mia," rispose quella, "non mi è capitato niente di male, al contrario, questo buon signore ha portato il mio carico e, pensa, quando ero stanca, ha caricato anche me sulla sua schiena. La strada non ci è parsa affatto lunga, siamo stati in buona allegria e abbiamo scherzato assieme." Alla fine la vecchia scivolò giù fino per terra, gli tolse il fardello dalla schiena e i cesti dal braccio, lo guardò benevolmente e gli disse: "Adesso mettetevi sulla panca davanti all'uscio e riposate. Vi siete guadagnato il vostro compenso e lo avrete." Poi disse alla guardiana delle oche: "Tu va in casa, figlia mia, non va bene che rimani sola con un giovanotto, non si deve versar olio sul fuoco, potrebbe innamorarsi di te." Il conte non sapeva se piangere o ridere, "un tesoruccio come questo, anche se avesse trent'anni di meno, non toccherebbe certo il mio cuore."
Intanto la vecchia accarezzava e coccolava le sue oche come fossero bambini, poi entrò in casa con la figlia. Il giovane si sdraiò sulla panca sotto un melo selvatico. L'aria era dolce e tiepida, tutt'attorno si stendeva un bel prato verde. pieno di primule, timo selvatico e mille altri fiori, là in mezzo mormorava un ruscello limpido e sopra splendeva il sole, le tre oche bianche passeggiavano su e giù e si bagnavano nell'acqua. "E proprio bello qui," disse il giovane, "ma sono talmente stanco che non riesco a tener gli occhi aperti, dormirò per un pò. Basta che un colpo di vento non mi porti via le gambe, perché me le sento molli come la ricotta."
Dormiva da poco quando venne la vecchia e lo svegliò scrollandolo. "Alzati," disse, "non puoi restare qui. Ti ho tormentato. è vero, ma non ci hai poi rimesso la pelle. Ora avrai la tua ricompensa - denaro e beni non te ne servono, eccoti qualcosa d'altro." E gli mise in mano una scatoletta, ricavata da un unico smeraldo. "Conservala con cura," disse, "ti porterà fortuna." Il conte balzò in piedi e, sentendosi fresco e rinvigorito, ringraziò la vecchia del suo dono e si incamminò senza nemmeno voltarsi a rimirare la bella figlia. Aveva già fatto un bel pezzo di strada che ancora udiva l'allegro schiamazzare delle oche. In quella selvaggia radura il conte dovette vagare per tre giorni, prima di trovare la strada per uscire. Arrivò poi in una grande città e, siccome nessuno lo conosceva, lo condussero al castello reale, dove il re e la regina sedevano sul trono.
Il conte fece un inchino, trasse lo smeraldo di tasca e lo porse alla regina. Ma appena la regina l'aprì e vi guardò dentro, cadde a terra come morta. Il conte fu arrestato dai servitori del re e stavano proprio per portarlo in prigione, quando la regina riaprì gli occhi e gridò di lasciarlo libero e che tutti uscissero dalla sala perché voleva parlare da sola con lui. Quando furono soli, la regina scoppiò in lacrime e disse: "A cosa mi servono il lusso e gli onori che mi circondano se ogni mattina mi sveglio nell'ansia e nel dolore? Io ho avuto tre figlie, e la minore era talmente bella, che tutti ne rimanevano incantati! Era bianca come la neve, rosea come i fiori di melo e i suoi capelli brillavano come raggi di sole. Se piangeva, dai suoi occhi non cadevano lacrime, ma perle e pietre preziose! Quando ebbe quindici anni, il re fece comparire le figlie davanti a lui! Avreste dovuto vedere che occhi fece la gente quanto entrò la più piccola, pareva che sorgesse il sole." Il re disse: "Figlie mie, non so quando verrà il mio ultimo giorno e fino da ora voglio stabilire quello che ognuna di voi avrà dopo la mia morte! So che mi amate tutte e tre, ma quella che mi ama di più avrà la parte migliore." Ognuna disse che lo amava più delle altre. "Non sapetedirmi come mi amate?," rispose il re "così capirò il vostro pensiero." La maggiore disse: "Amo mio padre come il più dolce degli zuccheri." La seconda disse: "Amo mio padre come il vestito più bello." Ma la più piccola taceva. Allora il padre le chiese: "E tu mia carissima piccina, come mi ami?." - "Non so, non so paragonare a nulla il mio amore," disse la più piccola. Ma il padre insisteva che nominasse qualche cosa. Alla fine ella disse: "Il miglior cibo non mi piace senza sale, così amo mio padre come il sale." All'udirla il re si indignò e disse: "Se mi ami come il sale, il tuo amore sarà ricompensato con il sale."
Divise il regno fra le due prime figlie e alla più piccola fece legare un sacco di sale sulla schiena e due servi dovettero condurla nel bosco selvaggio. "Tutti abbiamo pregato ed implorato per lei," disse la regina, "ma la collera del re fu implacabile! Come piangeva la povera piccola quando dovette lasciarci. Tutta la strada fu cosparsa dalle perle che sgorgavano dai suoi occhi. Ben presto il re si pentì della sua crudeltà e mandò a cercare la fanciulla per tutto il bosco, ma nessuno riuscì a trovarla. Quando penso che le bestie feroci l'avranno divorata sono fuori di me dal dolore, talvolta mi consolo e penso che sia ancora viva e che si sia nascosta in una grotta, o abbia trovato rifugio presso qualche anima buona. Ma pensate, quando ho aperto la vostra scatolina di smeraldo, dentro c'era una perla, proprio uguale a quelle che scorrevano dagli occhi di mia figlia. Potete immaginare come d mio cuore si sia commosso a quella vista. Ditemi ora da dove viene questa perla?"
Il conte raccontò che gliela aveva data la vecchia del bosco, e che gli era risultata strana, che probabilmente era una strega, ma la figlia della regina non l'aveva vista e non ne aveva sentito parlare. Il re e la regina vollero cercare la vecchia, pensavano che dove c'era la perla lì doveva esserci anche la loro figliola.
Fuori nella radura selvaggia sedeva la vecchia e filava. Era già buio e qualche pezzo di legna che ancora ardeva nel camino mandava una luce fioca. Fuori, d'un tratto ci fu un gran baccano. le oche tornavano dalla pastura e facevano delle grida roche. Poco dopo entrò anche la figlia. La vecchia rispose appena al suo saluto e crollò un poco la testa. La figlia sedette accanto a lei; prese l'arcolaio e si mise a filare, veloce come una fanciullina. Così continuarono per due ore senza scambiarsi parola. Alla fine si udì un fruscio alla finestra e guardarono dentro due grandi occhi di fuoco: era un vecchio gufo che per tre volte gridò "Uhu." La vecchia alzò appena gli occhi, poi disse: "ora è tempo, figliola, che tu esca a fare il tuo lavoro."
La figlia si alzò ed uscì. Ma dove andò? Attraverso i prati. giù giù fino alla valle, fino a che giunse ad una fonte dove c'erano tre vecchie querce. La luna era grande e tonda sopra la montagna ed era tanto chiaro che si sarebbe potuto trovare uno spillo. Ella si tolse una pelle che aveva sul viso, poi si chinò sulla fonte e cominciò a lavarsi. Quando ebbe finito immerse anche la pelle nell'acqua e la mise sul prato perché si imbiancasse e si asciugasse alla luce di quella luna. Ma come si era trasformata la ragazza! Una cosa del genere di certo non l'avete mai vista. Appena la treccia grigia cadde, ecco sgorgare i capelli d'oro come raggi di sole, e come un manto le ricoprirono tutta la persona. Non si vedevano che gli occhi, scintillanti come le stelle del cielo, e le guance ardevano di un tenue rosa, come fiori di melo. Ma la bella fanciulla era triste, sedette e pianse amaramente: una dopo l'altra le lacrime le scorrevano dagli occhi e rotolavano fra i lunghi capelli. Così stava e sarebbe rimasta a lungo, se non avesse udito uno scricchiolio e un fruscio fra i rami dell'albero vicino.
Balzò in piedi come un capriolo che sente lo sparo del cacciatore. Proprio in quel momento la luna fu coperta da una nuvola scura, in un attimo la fanciulla indossò la vecchia pelle e scomparve come una lampada spenta dal vento. Tremando come una foglia tornò a casa di corsa. La vecchia era sulla soglia e la fanciulla voleva narrarle quello che le era accaduto, ma la vecchia rise con benevolenza e disse: "So già tutto." La condusse nella stanza e buttò un altro legno sul fuoco. Ma non tornò a sedersi all'arcolaio, prese una scopa e si mise a spazzare e a strofinare. "Deve essere tutto lindo e pulito," disse alla fanciulla. "Ma madre, perché vi mettere al lavoro così tardi? Cosa volete fare?" - "Sai che ore sono?," domandò la vecchia. "Non ancora mezzanotte," rispose la fanciulla, "ma le undici sono sicuramente passate" - "Non ricordi?," proseguì la vecchia "oggi sono tre anni che sei venuta da me. Il tuo tempo è trascorso, non possiamo più rimanere assieme." La fanciulla si spaventò e disse: "Cara mamma, volete scacciarmi? Dove andrò mai? Non ho casa né amici a cui rivolgermi. Ho fatto tutto quello che mi avete ordinato, di me siete sempre stata contenta, non scacciatemi." La vecchia non voleva dirle quello che l'aspettava. "Io non posso più stare qui," le disse, "ma prima che me ne vada tutto deve essere pulito, perciò non trattenermi nel mio lavoro. Quanto a te, non preoccuparti, avrai un tetto sotto cui abitare e poi sarai contenta del compenso che ti darò." - "Ma ditemi almeno cosa mi accadrà," disse ancora la fanciulla. "Ti ripeto, non disturbarmi nel lavoro. Non parlare più e vattene nella tua stanza, togliti la pelle dal viso e mettiti l'abito di seta che portavi quando sei venuta da me e poi aspetta fino a che ti chiamerò." Ma torniamo al re e alla regina, che erano partiti con il giovane conte e volevano ritrovare la vecchia della radura selvaggia. Di notte il conte li aveva preceduti nel bosco e poi perduti, così dovette proseguire da solo. Il giorno dopo gli era parso d'essere sulla strada giusta. Continuò a camminare finché si fece buio, e allora salì su di un albero per passarvi la notte perché temeva di smarrirsi di nuovo. Quando la luna illuminò il bosco, scorse una figura che scendeva dal monte. Non aveva in mano la verga, ma egli la riconobbe come la guardiana delle oche, che aveva visto presso la casa della vecchia. "Eccola," pensò, "se c'è una delle streghe non mi sfuggirà nemmeno l'altra." Ma rimase di sasso, quando ella si accostò alla fonte, si tolse la pelle, si lavò e le si sciolsero i capelli d'oro. Era così bella come mai ne aveva vista qualcuna al mondo. Egli osava appena respirare, ma allungò il collo fra le foglie più che gli era possibile, senza togliere gli occhi di dosso. O che si fosse sporto troppo, o per qualche altro motivo, d'un tratto il ramo scricchiolò, e subito la fanciulla si infilò la pelle e corse via come un capriolo. In quell'istante si coprì la luna ed egli non la vide più.
Appena fu sparita, il conte scese dall'albero e l'inseguì di corsa. Non aveva fatto molta strada, quando nella fioca luce scorse due figure che vagavano per il prato. Erano il re e la regina, che da lontano avevano scorto la luce nella casetta della vecchia, e là dirigevano i loro passi! Il conte narrò loro di quale meraviglia era stato spettatore alla fonte ed essi non dubitarono che quella fosse proprio la loro figliola perduta. Arrivarono pieni di gioia alla casetta, le oche stavano attorno alla casa con la testolina sotto l'ala e dormivano, e nessuna di loro si mosse. Essi guardarono dalla finestra. La vecchia sedeva in silenzio e filava. faceva solo un cenno di assenso con la testa, ma non si guardava mai attorno. Tutto nella stanza ora era pulitissimo, come se ci abitassero gli omini della nebbia, che mai hanno i piedi impolverati. Ma non videro la loro figliola. Per un pò stettero a guardare ben bene, poi si fecero coraggio e bussarono piano piano alla finestra. Parve che la vecchia li aspettasse, si alzò e gridò allegramente: "Entrate pure, vi conosco già." Quando furono dentro. ella disse: "Avreste potuto risparmiarvi questo lungo cammino, se tre anni fa non aveste scacciato ingiustamente vostra figlia, che è tanto buona ed affettuosa. A lei non ho fatto alcun male. per tre anni ha dovuto custodir le oche, così non ha imparato nulla di male e ha mantenuto puro il suo cuore. Ma voi siete stati puniti abbastanza dall'angoscia nella quale siete vissuti." Poi si avvicinò alla stanza e chiamò: "Esci, piccina mia!." La porta si aprì e la principessa comparve nella sua veste di seta, coi suoi capelli d'oro e gli occhi come stelle, e parve che un angelo fosse sceso dal cielo.
Si accostò ai genitori, li abbracciò e baciò e tutti piansero di gioia. Il giovane conte era accanto a loro, e quando ella lo vide si fece rossa in viso come una rosa muschiata, e lei stessa non sapeva il perché. Il re disse: "Il mio regno lo ho donato, cara bambina, cosa devo darti?." - "Non ha bisogno di nulla," disse la vecchia, "io le dono le lacrime che ha pianto per voi, sono perle, più belle di quelle che si trovano nel mare, e valgono più di tutto il vostro regno! E in compenso dei suoi servigi le lascio la mia casetta." Detto ciò la vecchia sparì. Si udì un lieve scricchiolio nelle pareti e, come si guardarono attorno, videro che la casetta si era trasformata in un meraviglioso palazzo, una tavola regale era già apparecchiata e i servitori correvano qua e là.
La storia continua, ma mia nonna che me la ha raccontata, aveva ormai poca memoria, e il resto se l'era dimenticato. Comunque immagino che la bella principessa abbia sposato il conte e che siano rimasti assieme al castello e che là abbiano vissuto, fino a che Dio lo ha permesso, in tutta felicità. Se poi le candide oche custodite vicino al castello fossero tutte fanciulle (nessuna se ne abbia a male) che la vecchia aveva tenuto con sé e che poi abbiano ripreso figura umana, e siano divenute ancelle della giovane regina, su ciò non so niente di preciso, ma credo proprio di sì.
Certo quella vecchia non era una strega, come la gente pensava, ma una vecchia saggia che faceva del bene. Probabilmente, alla nascita della principessa, era stato proprio suo il dono di pianger perle invece che lacrime. Oggi non succede più, altrimenti i poveri diverrebbero presto ricchi.
IL BaSTONE DELLA SIGNORA SPORCELLI:
Una notte mentre la signora Sporcelli dormiva,il marito si alzò furtivamente dal letto,portò il bastone da passeggio della moglie nella sua stanza di lavoro e ,incollò un minuscolo tondino di legno sotto la punta del bastone.
In questo modo il bastone diventó più lungo ,ma di poco e,la mattina seguente la signora Maria Sporcelli non se ne accorse.
La notte dopo il signor Artemio Sporcelli incollò un altro minuscolo tondino di legno sotto il bastone.Ogni notte aggiungeva un tondino all'estremitá del bastone e,lentissimamente il bastone della signora Maria diventó sempre piú lungo.
-Quel bastone è troppo lungo per te-le disse un giorno il signor Artemio.
-È vero!!!Deve essersi allungato all'improvviso-disse la signora Maria
-Non dire idiozie!!!!-ribattè il signor Artemio Sporcelli.-Un bastone non si puó allungare!!È fatto in legno secco,no?Il legno secco non può crescere!!!!
-E allora cos'è successo ??- domandò la Signora Sporcelli.
-Non è il bastone ,sei tu che ti stai accorciando!-disse il signor sporcelki ghignando orribilmente.
-No!Non é vero!Non è possibile!!-esclamó Maria Sporcelli.
-Arcipossibile!!!Stai rimpicciolendo rapidamente!!!Ti stai restringendo ad una velocitá pericolosa!!Hai la restringite,ecco che cos'hai !!!La famigerata restringite!!!-
La signora sporcelli si sedette.
Allora il signor Artemio le puntó un dito contro e le gridó:-Lo vedi?!?Sei seduta sulla tua vecchia poltrona e sei talmente rimpicciolita che i tuoi piedi non toccano nemmeno terra!!
La signora Maria si guardò i piedi:il marito aveva ragione!non toccava nemmeno terra!!
Dovete sapere che il signor Artemio oltre ad aggiungere un tondino al bastone faceva altrettanto con la poltrona di sua moglie .
-Naturalmente sai cosa succede quando si ha la restringite?? -disse Artemio
-Che cosa??-chiese la signora Maria terrorizzata
-La testa si restringe e entra nel collo,il collo si restringe e rientra nel busto,il busto si restringe e rientra nelle gambe,le gambe si restringono e rientrano nei piedi.E alla fine della persona non rimangono altre che un paio di scarpe e dei vecchi vestiti che non servono piú a nulla.
-Quanto mi rimane prima di ridurmi a un fagotto di stracci e a un psio di vecchie scarpe??-gemette Maria Sporcelli
Il signor Sporcelli assunse un'aria molto solenne .-A questa velocitá-disse scuotendo tristemente il capo,-direi non piú di dieci o undici giorni.
-Ma non c'é alcun rimedio??Sono disposta a tutto.-gridó maria.
-C'è una sola cura per la restringite:bisogna stirarti!-sestenziò il signor Artemio.FINE
Tratto da GLI SPORCELLI di ROALD DAHL
Spero vi piaccia